10 Mag HTA: valutazione delle tecnologie in sanità
A proposito di Ingegneria Clinica, oggi vi parlerò di HTA “Health Technology Assessment”.
“Il cambiamento che il modello organizzativo sanitario e i connessi processi stanno vivendo, hanno contorni strutturali e di durata. L’invecchiamento della popolazione e la conseguente riconversione di un’ampia serie di servizi socio-assistenziali e sanitari, rappresenta una sfida che necessita di risposte innovative e coordinate. Una di queste risposte deve con certezza passare per un adeguamento delle tecnologie che necessariamente continueranno a supportare i processi diagnostici e terapeutici nella direzione di una crescente e veloce modernizzazione. Per farlo, anche alla luce dei vincoli connessi con la capacità di spesa corrente e i piani di contenimento di questa stessa spesa, è indispensabile andare a ripensare nel suo complesso la modalità con la quale oggi queste tecnologie vengono gestite.” Questo appena riportato è l’introduzione di un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore che mi ha fatto pensare che in realtà strumenti di valutazione dell’impatto delle tecnologie in ambito ospedaliero esistono e sono propri dell’Health Technlogy Assessment (HTA).
Ma cos’è l’HTA?
Come si legge dal sito dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), l’HTA è un approccio multidimensionale e multidisciplinare per l’analisi delle implicazioni medico-cliniche, sociali, organizzative, economiche, etiche e legali di una tecnologia, attraverso la valutazione di più dimensioni quali l’efficacia, la sicurezza, i costi, l’impatto sociale-organizzativo etc.
L’HTA analizza gli effetti reali e/o potenziali della tecnologia, sia a priori sia durante l’intero ciclo di vita, nonché le conseguenze che l’introduzione o esclusione di un intervento ha per il sistema sanitario, l’economia e la società.
Data la multidisciplinarietà di tale approccio, qualsiasi valutazione di HTA deve essere svolta da un team di persone qualificate ed esperte in ognuno degli ambiti che devono essere analizzati. Tale team multidisciplinare include tra gli altri l’economista sanitario, il farmacista, il direttore di farmacia ospedaliera (qualora si faccia all’interno di un ospedale pubblico), i clinici interessati dall’impatto della tecnologia e il provveditore. A guidare e condurre le fila di un processo di HTA è necessario ci sia una figura professionale che abbia le capacità di individuare le esigenze cliniche e farle combaciare con le necessità economiche, una figura quindi che sia di sintesi e che metta in comunicazione questi differenti aspetti che caratterizzano una tale analisi, chi meglio allora di un Ingegnere Clinico?!?
Come si legge dal documento che la Cabina di Regia per l’HTA, istituita presso il Ministero della Salute dal 2015, ha posto all’attenzione del Ministero della Salute e della Conferenza delle Regioni, è necessario che i soggetti che producono valutazioni di HTA stabiliscano relazioni più intense, non solo tra loro ma anche con i decisori, interessati a servirsi di quelle valutazioni per le politiche di investimento e disinvestimento più consapevoli, che rendano meglio sostenibile l’innovazione di procedure e strumenti.
Se è dunque necessario che i soggetti che producono valutazioni di HTA stabiliscano relazioni più intense, non solo tra loro ma anche con i decisori, tali soggetti dovranno conoscere appieno la realtà ospedaliera.
Allora la mia domanda, che vuole essere umile e provocatoria allo stesso tempo, è: perché la diffusione dei Servizi di Ingegneria Clinica in Italia non è capillare? Se realmente oggi affrontare il tema dell’innovazione tecnologica a servizio del miglioramento della qualità della vita, facendolo combaciare con le ristrettezze economiche in cui versa la sanità italiana, rappresenta una sfida importantissima, perché la presenza di un Ingegnere Clinico all’interno di un ospedale non è ancora obbligatoria?
È stato emanato da poco il Nuovo Regolamento sui Dispositivi Medici, che contiene numerose modifiche rispetto al precedente col fine di migliorare la salute e la sicurezza.
Infatti, la nuova direttiva, oltre a rafforzare alcuni elementi chiave dell’attuale approccio normativo, introdurrà disposizioni che garantiscano la trasparenza e la tracciabilità dei dispositivi. La tracciabilità dei dispositivi medici avverrà tramite un sistema di identificazione unica del dispositivo (UDI) con lo scopo di rafforzare considerevolmente la sicurezza effettiva dei dispositivi medici dopo la loro commercializzazione, grazie a una migliore segnalazione degli incidenti, ad azioni correttive mirate di sicurezza e a un migliore controllo da parte delle autorità competenti.
Come quindi gli ospedali intendono coadiuvare il processo di identificazione unica dei dispositivi medici? Quali sono gli strumenti, dal punto di vista informatico, che intendono adottare? Quale l’impatto sull’organizzazione all’interno degli ospedali? Chi saranno i “gestori” di un tale processo?
A voi, nostri cari lettori, l’ardua sentenza.
Cristina.
Riferimenti:
Articolo de Il Sole 24Ore: http://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/imprese-e-mercato/2016-12-05/biomedicali-proposte-condivise-e-gestione-integrata-svecchiare-parco-macchine-105320.php?uuid=ADwnbl7B&refresh_ce=1
Agenas – HTA: http://www.agenas.it/aree-tematiche/hta-health-technology-assessment
Luca Radice
Posted at 07:08h, 12 MaggioL’articolo è decisamente interessante.
Vorrei inoltre ricordare che già da anni la direttiva dispositivi medici 93/42/CEE obbliga i fabbricanti di dispositivi medici a svolgere le seguenti attività:
– Aggiornamento della valutazione clinica e la relativa documentazione con dati derivanti dalla sorveglianza post-vendita. Se la valutazione è bibliografica occorre aggiornare comunque la ricerca bibliografica con la docmentazone scientifica attuale.
– Impegno del fabbricante a istituire e ad aggiornare regolarmente una procedura sistematica di valutazione dell’esperienza acquisita sui dispositivi nella fase successiva alla produzione.
Quanti di voi vedono i fabbricanti richiedere i dati relativi alle prestazioni dichiarate e all’usabilità dei loro prodotti?
Queste attività non dovrebbero integrarsi con la HTA per evitare inutili sprechi?
Se non vengono svolte non si dovrebbe denunciare l’inadempienza al Ministero della Salute?
Ingegneri Biomedici (lato fabbricante) e Clinici (lato uso e gestione) non dovrebbero collaborare per la riuscita di questa attività?
Ormai avete capito che in Italia questa attività è regolamentata per legge
Cristina Urso
Posted at 13:17h, 12 MaggioGrazie mille Luca per i complimenti e per avere sottolineato un altro fondamentale aspetto: la sorveglianza post-marketing dei dispositivi medici.