01 Ago Imaging Medico: uno sguardo a come siamo fatti dentro
Ciao a tutti! Sono Marco, e sono un giovane ingegnere biomedico con un master in Medical Imaging, Image Processing e dispositivi biomedici elettronici programmabili, e al momento svolgo un dottorato di ricerca in Olanda in Medical Image Processing e Analysis.
Questo è il mio primo articolo della mia rubrica “MedIm”. Periodicamente vi parlerò di cos’è l’Imaging Medico e l’Image Computing, e quali sono le enormi potenzialità che questi strumenti offrono per diagnosticare tumori e altre malattie in fase precoce, guidare interventi chirurgici e monitorare l’efficacia di un trattamento farmacologico. I miei articoli non saranno delle noiose lezioni piene di formule matematiche e principi fisici. Anzi, cercherò di rendere la materia accessibile a tutti, e cercherò di rispondere a quante più domande possibili che un ipotetico paziente potrebbe porsi prima di sottoporsi a un esame per immagini mediche. Tanto per fare qualche esempio: le radiazioni emesse da un particolare sistema di imaging medico sono pericolose? E, soprattutto, quanto sono pericolose? O ancora: cosa succede davvero quando una paziente si sottopone ad una mammografia? Chi guarderà le immagini per refertarle? Quanto ci si può fidare di ciò che mostra un’immagine medica? E infine: cosa succederà nel (prossimo) futuro? Sicuramente tutti avrete sentito parlare di radiografie o ultrasuoni. Ma ci sono moltissimi studi e team di ricerca che stanno progettando nuove tecniche sempre più accurate e specifiche che presto saranno sul mercato.
In breve, sono molto felice di condividere con voi le conoscenze che ho maturato fino ad ora. Spero di essere all’altezza del compito, e metterò il mio impegno per cercare di far luce su potenzialità, rischi, domande, dubbi e falsi miti legati all’Imaging Medico. Buona lettura!
Il ricevere e l’analizzare immagini costituisce gran parte dell’attività cerebrale degli essere umani durante la loro vita. Più del 99% dell’attività del cervello umano è coinvolta nell’elaborazione di immagini ricevute dalla corteccia visiva. Noi esseri umani generiamo, ricordiamo e trasmettiamo continuamente immagini. Tutti sappiamo cos’è un’immagine. Negli anni 2000, poi, con l’avvento (e sopravvento) del digitale sull’analogico sappiamo che un’immagine è formata da tanti piccoli elementi, i pixels. Lasciando stare i dettagli di come l’immagine viene generata, siamo tutti d’accordo su una cosa: noi, con le nostre fotocamere, fotografiamo quello che vediamo. Luce visibile, niente di più. Ora, l’imaging medico si pone un obiettivo di gran lunga più ambizioso: vedere ciò che noi umani, a occhio nudo, non vediamo. Per perseguire questo scopo, l’imaging medico molto di rado si serve della luce visibile. Utilizza invece molte altre forme di energia che possono interagire con i tessuti biologici e fornire immagini che l’occhio nudo non riesce a percepire.
Prendiamo come esempio i raggi x. Tutti sanno che aspetto ha una radiografia di un braccio rotto, ma forse non tutti sanno come fanno i raggi x a penetrare così a fondo, eludendo con facilità lo strato del derma umano e arrivando alle ossa. La risposa sta nel tipo di “luce” che stiamo usando. Ma la luce altro non è che una forma di radiazione elettromagnetica. Mentre la luce visibile (che occupa una piccolissima parte dell’intero spettro elettromagnetico) è considerata una radiazione a energia relativamente bassa, i raggi x (con le loro alte frequenze) hanno energia assai superiore, e dunque riescono letteralmente a “penetrare” materiali poco spessi e poco attenuanti come la pelle umana ed interagire con i tessuti sottostanti. Quanto appena descritto è solo uno dei molti esempi di forme di energia utilizzate nel campo dell’imaging medico. Infatti, oltre alla radiazione luminosa, vengono anche utilizzate onde sonore ad alta frequenza (dell’ordine dei MHz) dette Ultrasuoni, campi elettromagnetici, radiazioni infrarosse e altre ancora.
Sorge però ora un dilemma: se le radiazioni elettromagnetiche utilizzate nell’imaging medico sfruttano bande di energia che noi esseri umani non possiamo percepire (in quanto l’occhio umano è calibrato per frequenze ed energie elettromagnetiche ben specifiche, nella banda del visibile), come facciamo a vedere le immagini mediche? La risposta è semplice: dobbiamo solo convertire la forma di energia utilizzata in una grandezza che i nostri sensori biologici (gli occhi) possono ricevere. I raggi x, ad esempio, abbiamo detto penetrano nella materia molto più che la luce visibile. Ma ogni volta che attraversano un oggetto, si attenuano (e più spesso e denso è l’oggetto, più vengono attenuati). E’ sufficiente misurare queste attenuazioni, e proiettare il loro valore numerico sull’immagine finale (è un po’ più complesso di così, ma il principio è questo). La pelle e i muscoli sono sottili e sono tessuti molli, e dunque attenuano poco. L’osso, al contrario, è denso e spesso, e dunque è un forte attenuatore dei raggi x. Così, è sufficiente misurare il numero di particelle che ogni raggio x porta con sé dopo aver attraversato un campione di tessuto biologico, e assegnare a ogni pixel dell’immagine finale il valore numerico che indica di quanto è stato attenuato. E il gioco è fatto. Il discorso vale per ogni tecnica di imaging. Ognuna sfrutta un’energia diversa, ma il principio è sempre quello di trovare una grandezza misurabile (come l’attenuazione nel caso dei raggi x) e con questa costruire un’immagine che possa essere vista e studiata dai nostri occhi.
Il trucco è dunque capire come possiamo sfruttare una certa frequenza di energia, quali possono essere i suoi effetti sui diversi tessuti biologici, e come creare da essa un’immagine leggibile a noi esseri umani (ovviamente ci sono vincoli fisici, ingegneristici e anatomici da tenere in conto, ma di questo parleremo più avanti). Capito questo, ci si rende conto che le potenzialità dell’imaging medico sono infinite. Dal lontano 1895 in cui Rontgen scoprì i raggi x, sono stati fatti enormi progressi. Siamo riusciti a sfruttare diverse forme di energia, alcune potenzialmente dannose (radiazioni ionizzanti) come i raggi x o la radioattività, altre completamente sicure (radiazioni non ionizzanti) come gli ultrasuoni e la risonanza magnetica. Siamo in grado di indagare quasi ogni organo e tessuto umano, in due o tre dimensioni. Possiamo ottenere immagini che mostrano non solo l’anatomia di un certo distretto corporeo, ma anche la funzionalità (un cuore che batte, il metabolismo dei muscoli e dei tumori). Possiamo utilizzare svariati agenti di contrasto per evidenziare la circolazione sanguigna (e mostrare dunque occlusioni o placche aterosclerotiche) o la vascolarizzazione dei tumori. Negli ultimi anni si è anche sviluppato il cosiddetto “imaging 4-D”, in cui le immagini di un organo sono ricostruite in tre dimensioni e osservate nel tempo (permettendo di effettuare studi completi sui movimenti toracici legati al processo respiratorio o sulla perfusione dei tumori).
Insomma, le possibilità presenti nella pratica clinica sono molteplici, e moltissime soluzioni sono ancora in fase di ricerca con l’obiettivo di rendere sempre più accurata la diagnosi e allo stesso tempo garantire la sicurezza del paziente. Non è un caso che le analisi di mercato prevedano una continua crescita del CAGR per il mercato dell’imaging medico e che moltissimi Paesi investano considerevoli somme di denaro per questo tipo di ricerca. Le aspettative di vita crescono, l’età media si alza, e con essa il numero di tumori e malattie cardiovascolari. Una diagnosi precoce eseguita tramite un esame di imaging può non solo aumentare considerevolmente il tasso di sopravvivenza della popolazione, ma anche ridurre di molto i costi del sistema sanitario. Questi sono i motivi per i quali moltissimi ricercatori in tutto il mondo (me incluso) hanno deciso di dedicarsi a questo tipo di lavoro.
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