30 Apr KYME: una startup per “vederCi chiaro”
Bioimaging : nuova tecnologia per i mezzi di contrasto – meno tossicità, maggiore efficacia, no sovradosaggio
L’esplorazione del corpo umano – una delle cose che da secoli affascina l’uomo.
E se si è partiti dall’esplorare come siamo fatti (con storie alla stregua di un romanzo di Mary Shelley), le tecniche di imaging sviluppate nel corso dell’evoluzione tecnologica e biomedicale ora consentono di fare una fotografia o addirittura un video dinamico che ritrae il nostro corpo al di là della pelle: è possibile osservare il nostro corpo dall’interno, per capire cosa succede e indagare le cause di eventuali disfunzioni del nostro organismo.
Ma anche la fotografia per quanto di buon livello può continuamente migliorare, migliorare al punto da rendere sempre più visibili i dettagli, permettere di capire sempre meglio cosa stiamo guardando, scendere a dimensioni infinitesime per indagare con buona risoluzione piccolissime parti di noi.
Fra le varie tecniche di imaging, molto usata, in particolare per i tessuti molli, è la MRI – (Magnetic Risonance Imaging), una tecnica di imaging biomedico utilizzata per ottenere immagini quanto più possibile ad alta definizione dell’interno del corpo umano.
La Risonanza Magnetica (RM) può essere eseguita con iniezione endovenosa di mezzo di contrasto, che serve a facilitare la visualizzazione di processi infiammatori e di tessuti molto vascolarizzati, ad esempio nel caso di tumori.
Ad oggi però, questi mezzi sono ancora limitanti, non solo per via della loro tossicità, ma anche per la risoluzione finale delle immagini e per l’assenza di selettività degli organi o specifiche patologie, irrorando anche sezioni anatomiche non necessarie.
Ma come fare a migliorare la risoluzione, come minimizzare le dosi e la tossicità del mezzo di contrasto, come rendere più efficiente la targetizzazione nell’imaging?
La risposta a queste domande l’hanno sviluppata 4 ragazzi: Enza Torino, Maria Russo, Donatella Vecchione e Alfonso Maria Ponsiglione.
Questi ragazzi, tutti ricercatori del “Center for Advanced Biomaterials for Healthcare” dell’ Istituto Italiano di Tecnologia (IIT@CRIB) di Napoli e tutti giovanissimi, hanno sviluppato una tecnologia basata sulla microfluidica (Lab-on-chip) e sulle nanotecnologie per modificare i parametri (il più importante è la relassività) dei mezzi di contrasto , combinando noti agenti di contrasto con biomateriali attraverso l’uso di microcanali, per rendere la qualità dell’immagine più dettagliata, aumentare il contrasto delle immagini fino a 10 volte, migliorare il targeting, minimizzare gli effetti tossici del mezzo di contrasto ed eliminare il rischio di sovradosaggio.
Incuriosita dal loro lavoro, ho incontrato il team per conoscere la loro storia.
Tutto nasce da un lavoro di ricerca, all’interno di IIT, di una post-doc – Enza – e tre dottorandi – Maria, Donatella e Alfonso Maria, che si sono uniti a formare un team competente alla guida di questa nuova startup, Kyme, spin-off del progetto di ricerca. Il brevetto, depositato nel Dicembre 2015 dall’Ufficio Brevetti di IIT, è stato reso disponibile agli stati europei ed extra europei.
Ad ogni nuova sfida il team ha perfezionato le proprie doti singergiche ed ha raggiunto rapidamente i primi importanti traguardi. Kyme è infatti fra i primi dieci progetti selezionati da Bioupper, progetto biotech di Novartis e Fondazione Cariplo, in collaborazione con Polihub e Humanitas, le cui finali saranno a Maggio 2017, tra gli 11 su 114 selezionati da Start Cup Campania nel 2016 e vincitori del premio Everis, promosso dalla Fondazione everis, realtà creata con l’impegno di promuovere l’imprenditorialità, l’innovazione e incoraggiare il talento delle persone.
Ora il prossimo step per questa promettente realtà imprenditoriale è l’indagine clinica, perchè dal prototipo si passi ad un prodotto commerciale utilizzabile sul campo, e la ricerca di investimenti finanziari troppo spesso non commisurati al bisogno tecnologico per idee innovative come quella presentata dai ragazzi di Kyme.
Approfondimenti: Kyme nasce dal nome greco di Cuma, Κύμη (Kýmē), città in cui la famosa Sibilla divulgava i suoi oracoli. Proprio come l’affascinante storia della Sibilla Cumana, così Kyme mira ad individuare i dettagli importanti per cercare di prevedere l’evolversi delle patologie ed aiutare ad individuare una cura per tempo. Mito che può diventare realtà, insomma, grazie alla ricerca e alla tecnologia.
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